PIANETI DIVERSI NELLA GALASSIA SCUOLA
“BUONI” 2 “CATTIVI” 1 – A Roma tra via Blaserna e via dell’Oratorio Damasiano ci sono 7 chilometri di strada, attraversando Portuense e Magliana. In linea d’aria ancora meno. Eppure, parlando di scuola elementare statale, la distanza è maggiore che tra la terra e la luna. Ci si ritrova letteralmente su due pianeti non solo diversi ma opposti: uno è l’inospitale “Vincenzo Cuoco”, l’altro è l’accogliente “Santa Beatrice”. Siamo atterrati su tutti e due al momento di iscrivere nostra figlia Benedetta in prima elementare. Ah, un particolare: la bambina ha la sindrome di Down.
Chiaro, la dirigente della “Cuoco” non ha infranto nessuna legge. Però è venuta meno alla prima regola della scuola: la priorità del bambino. La nostra è solo una piccola storia, finita anche bene, che ora potrebbe persino tornare utile per fare in modo che non si ripetano, o almeno diminuiscano, episodi di superficialità e poco attenzione ai bambini. Di episodi di discriminazione ce ne sono tanti e ben più gravi, in ogni ambiente. Ma se è proprio la scuola a non avere un progetto culturale e sociale alto, creando problemi per rigidità o trascuratezza, allora sì che siamo veramente messi male. Già, in fondo stavolta sono “i buoni” a vincere 2-1: tra il brutto “autogol” della “Cuoco” ci sono le belle realizzazioni della scuola dell’infanzia comunale “Mondo incantato” e della elementare “Santa Beatrice”.
IL FATTO – Fin da settembre 2009 – dunque con un anno di anticipo – ci muoviamo, di comune accordo con le maestre della scuola dell’infanzia “Mondo incantato” e la neuropsichiatria del centro di riabilitazione Ri.Rei. di via Majorana (insieme a logopedista e terapista di psicomotricità), per studiare il modo migliore di inserire la bambina in prima elementare. Un passaggio particolarmente delicato per tutti, ancora di più se si ha la sindrome di Down. L’esperienza di due anni alla “materna” è stata molto positiva. Ottima la collaborazione con le maestre. Ci si interroga, insieme, se è il caso di aspettare ancora un anno prima di iscriverla alle elementari, per farle così acquisire consapevolezze e sicurezze in più. Due G.L.H. (Gruppo lavoro handicap) e un dialogo continuo portano a decidere, con non poche riserve, che in fin dei conti per Benedetta è più utile il passaggio alle elementari. Tutti d’accordo con la sintesi della neuropsichiatria: “La maestra è decisiva, se ha uno stile di insegnamento che fa scattare il feeling con Benedetta l’inserimento sarà molto più facile. Altrimenti, se sarà troppo rigida, è evidente che gli ostacoli saranno insormontabili”.
PIANETA CUOCO – A febbraio 2010, dunque, prendiamo contatto con la scuola elementare statale “Vincenzo Cuoco”: è la più vicina a casa e si trova nello stesso complesso della scuola dell’infanzia. Seguire al meglio Benedetta per sostenerla nei suoi passi ci porta a incontrare la dirigente ancora prima dell’iscrizione. Offrendo la nostra piena collaborazione, cerchiamo di presentarle scrupolosamente la bambina, le nostre aspettative, insistendo su quelle che – stando anche alle esperienze sul campo di maestre e terapiste – potrebbero essere le difficoltà di inserimento. Ma una sua affermazione, folgorante, avrebbe dovuto far scattare l’allarme per cambiare aria a gambe levate: “Se ha un carattere così aperto perché non l’avete mandata in prima elementare un anno fa?”. Rimasti di sasso, abbiamo capito l’inutilità dell’incontro. Ma come un anno fa? Addirittura a 5 anni? Ma se abbiamo avuto il dubbio di iscriverla regolarmente a 6 anni! In tutta evidenza la dirigente non ci stava ascoltando, aveva semplicemente ripreso al volo una nostra frase sul “carattere aperto” di Benedetta. Però ci era parsa almeno disponibile. “Vengo dal sostegno” ci aveva rassicurato. Abbiamo anche sottovalutato il fatto che non avesse preso manco un appunto, magari contando su una memoria prodigiosa.
Tutto per il meglio, dunque, o quasi. Con un altro punto di forza. In quella scuola, per tanti anni, ha insegnato la nonna di Benedetta, ora in pensione. Conosciamo quasi tutte le maestre e anche con loro ci siamo consultati per chiedere consigli. In definitiva, abbiamo chiesto alla dirigente che Benedetta fosse affidata alla “maestra più giovane possibile” e fosse inserita in classe con la bambina conosciuta alla scuola dell’infanzia. Richieste motivate e documentate dall’esperienza di noi genitori, delle maestre e delle terapiste. Richieste raccomandate dal “vademecum scuola” del Coordinamento nazionale delle associazione delle persone con sindrome di Down (CoorDown) con gli “orientamenti per un’integrazione responsabile”. Nel testo si fa esplicito riferimento ai “compagni che hanno frequentato con il bambino/a la scuola materna” e alla “conoscenza del piano dell’offerta formativa” e dei “criteri per la formazione delle classi”. Nessun “privilegio”, nessuna “raccomandazione”.
Senza entrare nei dettagli della diagnosi funzionale o aprire la cartella clinica, la bambina riesce a costruire relazioni solo con maestre, e terapiste, “più giovani” finendo persino per ignorare quelle “meno giovani”. Nessuna si offenda per questioni anagrafiche: non è, in tutta evidenza, tanto una questione di bravura dell’insegnante quanto del metodo di relazionarsi: più o meno rigido, più o meno dinamico. Lo si era già constatato nella positiva esperienza di due anni all’asilo nido comunale “Loris Malaguzzi”, nonostante la “parentesi” di una grave leucemia, completamente superata (dunque, in realtà. i “buoni” vincono 3-1…).
“La maestra è la questione decisiva”, come ha rilevato la neuropsichiatria. Dunque, da parte nostra, la richiesta non è stata presentata per un vezzo o per “scegliere la maestra”. Anche perché a febbraio nessuno sapeva a chi sarebbero state affidate le prime elementari. Lo si è saputo a fine giugno. Proprio la conoscenza diretta della scuola ci ha anche portati a segnalare in seguito, il 9 giugno, in un secondo colloquio con la dirigente, che in passato si erano verificate “incomprensioni” con alunni con sindrome di Down. Di nuovo, nessuna polemica, nessun dito puntato, solo chiarezza nella ricerca di una collaborazione totale per il bene della bambina. Tutti questi discorsi, sempre con dovizia di particolari, sono stati ripetuti anche dalle maestre della scuola dell’infanzia alle colleghe delle elementari. In due riunioni organizzate con l’obiettivo assicurare la continuità didattica. E in quelle occasioni gli appunti sono stati accuratamente presi. Iniziativa utile ma, almeno nel nostro caso, poi inutilizzata.
IL PATATRAC – A fine giugno il patatrac. Il ciak di una telenovela di serie B. Due le sezioni di prima elementare: Benedetta è stata affidata alla maestra “meno giovane” (per questa definizione valga la spiegazione già presentata) mentre la sua compagna della scuola dell’infanzia è stata messa in classe con quella “più giovane”. Esattamente l’opposto di quanto avevamo chiesto. Proprio al momento della definizione delle classi sono state alcune maestre, conoscendo direttamente la situazione, a ricordare alla dirigente che già per due volte noi genitori le avevamo segnalato ciò che avrebbe favorito l’inserimento di Benedetta. Contrordine. La bambina viene spostata nella sezione con la maestra “più giovane” e con la sua amichetta. Altro contrordine, non se ne fa nulla. Motivazioni? Saperle… Facile intuire che si tratti di questioni personali. In un primo momento la dirigente fa prevalere l’interesse di Benedetta che, invece, poi riperde la maestra più adatta a lei – si badi bene, quella più adatta, non è una classifica di bravura – e la compagna. Cosa è successo? I responsabili hanno perso di vista l’unica cosa che conta: il bene della bambina. Hanno fatto prevalere altre “logiche”, equilibri interni.
Per un istante speriamo di essere finiti su “Scherzi a parte”. Indignati, il 28 giugno comunichiamo alla dirigente di voler cambiare scuola e otteniamo il nulla osta. Nel colloquio, ci dice di “aver rispettato tutte le nostre richieste” – probabilmente ne è convinta, forse le ha dimenticate per non averle mai prese davvero in considerazione – e di non aver intenzione di tornare sulla sua decisione. Non glielo abbiamo certo chiesto. E non risponde al nostro rilievo circa l’utilità dei nostri incontri e delle riunioni tra le maestre della scuola dell’infanzia e delle elementari, anche per la formazione delle classi, né sul valore della collaborazione con la famiglia e la neuropsichiatria. Poi aggiunge una chicca: “Voi così rovinate vostra figlia, non dovere renderle le cose facili ma metterla subito davanti alle difficoltà per farla crescere”. Dunque suscitare problemi pur potendo prevenirli è un “metodo” preciso che però non tiene conto delle indicazioni di quanti conoscono bene la bambina. E noi genitori, secondo la dirigente, non siamo capaci di rendere sempre più autonoma nostra figlia. Pur nei nostri eccessi di autocritica e di coscienza, è un rilievo seccamente smentito da quanto sta avvenendo alla “Santa Beatrice”.
Ovviamente è un “sistema” controproducente, dati alla mano, che non ci interessa, Certamente con Benedetta non funziona (anzi, ha successo l’esatto contrario) e ci congediamo dalla dirigente chiedendole, ovviamente senza ottenere risposta, come possa arrivare a queste “conclusioni” senza aver mai visto, neppure mezza volta, Benedetta. Scappiamo, letteralmente. Sulla porta la nostra intelocutrice ripete, due volte, di aver lavorato tanto con i Down e con risultati importanti. Come affidare la bambina a una responsabile scolastica che si comporta così? Non ci fidiamo, anche se cambiare scuola significa, in qualche modo, sradicare la piccola dal quartiere dove viviamo, con una ricaduta anche sulla possibilità di stringere amicizie nella zona. Ci assale e non ci lascia il pensiero che questo “metodo” – con il crisma di chi ha lavorato tanto con i Down – venga applicato nelle tre elementari del 28˚ circolo didattico che gravitano su viale Marconi. Un solo rammarico: invece di occuparci già un anno prima dell’inserimento di Benedetta sarebbe stato forse meglio lasciare tutto al caso, alla lotteria. Uno su due ci andava bene… Ma avremmo comunque avuto a che fare con una dirigente non aperta alle reali esigenze di una bambina con disabilità.
Dunque, a conti fatti, non abbiamo trovato riscontro delle indicazioni fornite nelle “Linee guide per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità” del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. In particolare, la III parte del documento sulla “dimensione inclusiva della scuola” non è stata certamente applicata per accogliere Benedetta.
COLPO DI CODA – Abbiamo avuto ragione a non fidarci. Ecco un altro capitolo. A settembre è stata iscritta alla “Cuoco” una bambina che ha frequentato per due anni la suola dell’infanzia con Benedetta. Inserita nella sezione con la maestra “meno giovane”, ha avuto difficoltà di inserimento tanto da convincere la mamma a chiedere lo spostamento nell’altra classe dove avrebbe trovato la compagna della materna. Proprio come Benedetta. Anche in questo caso, la questione è l’insegnante più adatta per la figlia e non la più brava. Clamoroso ma vero: la dirigente si mostra favorevole a farle cambiare classe. Ma allora perché, a giugno, il cambio di sezione è stato così ostinatamente negato a una bambina con sindrome di Down, nonostante la documentazione illustrata con largo anticipo?
Telefoniamo alla segreteria della “Cuoco” per esprimere, ancora una volta, la nostra indignazione. La responsabile della segreteria, ben a conoscenza della vicenda, ha però come primo problema capire chi ci ha dato “queste informazioni” sul possibile trasferimento della bambina, considerate evidentemente “top secret”. Per sua sfortuna, la mamma che ha chiesto il cambio è una nostra amica. La “talpa” è lei. Risolto il giallo della “fuga di notizie” senza bisogno di scomodare Sherlock Holmes, restiamo senza risposte. Intanto la mamma stessa, venuta a conoscenza della vicenda, ha deciso di non insistere nella richiesta.
PIANETA SANTA BEATRICE – Sì, abbiamo avuto ragione a non fidarci. A fare la scuola sono le persone. E di competenti e sensibili ne abbiamo trovare appena 7 chilometri a ovest. Alla elementare “Santa Beatrice” arriviamo il 30 giugno dopo aver consultato un istituto privato, sempre su viale Marconi, che ci chiede 1.200 euro al mese: l’intero stipendio della maestra di sostegno, per tre ore al giorno.
La dirigente della “Santa Beatrice” vuole, per prima cosa, conoscere personalmente Benedetta. Ci dà appuntamento a scuola il 1 luglio e ci accompagna a visitarla. Tutta. Compresi i bagni. Ci illustra un progetto educativo concreto, pratico, evidentemente frutto di esperienze vere. Si comprende come la struttura sia aperta all’accoglienza, con una serie di opportunità importanti. Insomma, siamo stati accolti in un ambiente che sa ascoltare e valorizzare il contributo della collaborazione tra scuola, famiglia e centro di riabilitazione. Il paragone con quanto abbiamo toccato con mano alla “Cuoco” è improponibile. La dirigente ha subito chiaro il quadro che cerchiamo di presentarle per garantire il miglior inserimento possibile della bambina. Il dialogo è schietto e costruttivo. Non si nascondono i problemi. In realtà, non c’è stato bisogno di parlare troppo di attese educative e progetti. Un altro pianeta, appunto.
Il primo mese di scuola lo ha confermato. Benedetta si è inserita, fin dal primo giorno, alla grande. Accolta con intelligenza e affetto, con le maestre e il personale scolastico ha immediatamente instaurato una relazione davvero promettente. Non ci sono stati intoppi. Davvero è commovente vedere con quanto entusiasmo e con quanta volontà si butta a capofitto nei compiti a casa. Così come commuove constatare la sua gioia di andare a scuola e la “scintilla” che pare subito scoccata con maestre e compagni di classe. Prima ancora che imparare a scrivere, leggere e far di conto, è fondamentale che Benedetta acquisisca gli strumenti che le consentano di migliorare la sua capacità di relazionarsi con le altre persone e quelle autonomie che le possano tornare utili nella sua vita. E noi genitori ci siamo intesi al volo con la scuola, ci stiamo confrontando su tutto. I problemi non mancheranno, ma ci sono tutti i canali per affrontarli insieme.
Ecco, non era poi così difficile creare una situazione serena, accogliente. Nella scuola non è, allora, tanto o solo questione di tagli o di sostegni. È questione di persone.
L’ESSENZIALE – Qual è, allora, il problema di fondo? I bambini. Il dibattito che ha accompagnato l’inizio del nuovo anno scolastico ha messo a fuoco che bisogna guardare innanzitutto loro che sono l’essenziale. Lo scopo della scuola. Non ci devono essere altri interessi di mezzo, questioni personali, gelosie o altre piccinerie. Non ci devono essere pretese di carriera o di affermazione, per quanto umanamente comprensibili, a scapito del bene del bambino. La scuola c’è per servire i bambini e gli adulti non devono servirsene. Questa constatazione, valida per ogni alunno, assume un profilo di urgenza quando ci si trova davanti un bambino disabile. Rileva il già citato “vademecum” del CoorDown: “Per il raggiungimento di un buon grado di scolarizzazione e integrazione non è sufficiente iscrivere il proprio figlio dal nido alle superiori (come previsto dalla legge 104/92) né è sufficiente avere il maggior numero possibile di ore di sostegno. Noi crediamo che un buon progetto di vita passi attraverso l’impegno di tutti i soggetti coinvolti e che sia necessario svolgere l’attività di educatori con professionalità e competenza”.
A Benedetta la dirigente della “Cuoco” ha negato un diritto pur senza commettere reati, certo. Infatti, aggiunge CoorDown, “con la parola diritti intendiamo non solo le disposizione previste dalla legge, ma anche quegli aspetti relativi all’accoglienza, al rispetto, all’attenzione, alla partecipazione che devono essere adeguati alle singole situazioni e che le norme stesse forse sottintendono ma non garantiscono operativamente. Ancora troppo spesso incappiamo in situazioni nelle quali la legge è applicata in modo formale e non sostanziale, resa appunto inefficace dalla mancanza di accoglienza, rispetto, partecipazione o collaborazione da parte di tutti coloro che sono coinvolti nel processo di integrazione scolastica”.
CHE COSA CHIEDIAMO? – In conclusione, perché questa fin troppo lunga e particolareggiata lettera aperta? Che cosa chiediamo? Nessuna rivalsa, nessuna rivendicazione. A muoverci è solo la speranza che, facendo presente una piccola ma comunque grave discriminazione – senza polemiche, raccontando semplicemente quanto abbiamo vissuto – si possa fare in modo che i bambini disabili, e certo non solo loro, vengano accolti non a parole ma coi fatti, in una scuola aperta e non rigida, competente e non superficiale, sensibile e non prigioniera degli “equilibri interni” che mettono da parte l’essenziale: il bene del bambino. Che cosa ci aspettiamo? Semplice, ci aspettiamo che quanti non hanno saputo o voluto comprendere le elementari istanze che abbiamo presentato si rendano conto che c’è la possibilità di agire diversamente. Sempre per il bene del bambino.
Così, magari, la famiglia che si rivolgerà alla “Cuoco” – o a qualsiasi altro istituto – cercando la collaborazione della scuola per l’integrazione di un figlio disabile, sarà realmente sostenuta e ascoltata. Ecco, la nostra piccola storia può essere esemplare, di aiuto – proprio perché apparentemente non eclatante – per trovare il sistema di impedire a quanti hanno responsabilità nella scuola di creare, dal nulla, nuove discriminazioni contro le persone disabili. I fatti dimostrano che è possibile.
Anna e Giampaolo Mattei
genitori di Benedetta, 6 anni, con sindrome di Down